Nelle parole di Umberto Eco “scrittore che dipinge – pittore che scrive”, si disegna la struttura del linguaggio di Emilio Tadini, che dal flusso infinito delle figure e delle cose trattiene materiali che organizza nel suo discorso visivo, nella sua figura dipinta. Il senso della fiaba per Emilio Tadini si compie “Altrove una volta – qui adesso”: oltremare, sul terrain vague della tela, della carta in libertà; sul filo dell’orizzonte, nello spazio in trasformazione che custodisce la differenza.


“Il breve saggio si pone il problema della differenza tra testo  e immagine, della loro capacità di esprimere in modo differente, e a tal punto che differenti sono di fatto i risultati in relazione a ciò che si voleva esprimere, il quale a sua volta è in una qualche modalità di relazione con l’inesprimibile.  Fra queste lame si dispiega un campo di forze di cui l’inesprimibile è solo un limite. Tadini distingue tra filosofia, racconto, narrazione, fiaba. Il disegno si ribella al nome, all’assoluto: “i filosofi non sono mai così necessari a tutti noi come nel momento in cui, disarcionati, stanno volteggiando, più o meno elegantemente per aria prima di battere il culo per terra”. E quel non so che, il quale invece il narratore e il disegnatore vogliono afferrare, essi paiono conoscerlo attraverso i sensi e non, appunto, attraverso i concetti, dominio dei filosofi. Insomma, parrebbe che quest’assoluto senza nome sia raggiungibile  solo dall’immaginazione.” di Rosa Pierno (leggi tutto)

 

Stralcio da La fiaba della pittura

Come il mito, la fiaba è una pratica non di “evasione” – ma, al contrario, di invasione. Mito e fiaba non ci distraggono dal mondo. Con il mondo ci impegnano, e strettamente. E’ un pò come se il mondo parlasse, traducendosi nel mito della fiaba. E, noi, in ascolto, ci si rendesse conto che quella lingua in cui il mondo ci si “presenta” non è una lingua straniera, che noi, quella lingua, la possiamo capire. Ma è vero anche l’inverso. E’ come se mito e fiaba, prima di tutto e sostanzialmente, narrassero, a un mondo in ascolto, la sua – la nostra – storia. Come se, finalmente, “il mondo” non ci fosse estraneo. Come se tra il mondo e noi si articolasse una lingua comune. Come se il mondo, ogni tanto, si offrisse alla narrazione della tua, della mia vita. Liberate. Svelate nell’immaginario.