La città: l’Etico e lo Spazio alla Casa Museo Spazio Tadini

La città: l’Etico e lo Spazio – Una mostra da non perdere presso la sede dell’archivio Emilio Tadini dove viveva e lavorava l’artista in via Jommelli, 24 a Milano. In mostra opere inedite e materiale d’archivio.

A vent’anni dalla morte di Emilio Tadini, pittore, scrittore e saggista di rilievo nel panorama italiano si svolge dal 1 giugno 2022 al 15 aprile 2023 la mostra La città: l’Etico e lo Spazio che vede esposte tele, documenti inediti dell’archivio e scritti dell’artista. La mostra e gli eventi correlati saranno realizzati in collaborazione con Fondazione del Corriere della Sera e Fondazione Marconi.

Tadini si è interessato alla città come spazio di relazione, di crescita culturale e sviluppo fino ad eleggerla simbolo della cultura di un popolo. Ne ha parlato attraverso la sua pittura, con un ciclo pittorico dedicato, Città italiane (1988-1991), in molti suoi romanzi che hanno al centro la città di Milano (come La lunga notte, 1987, e La tempesta, 1993), ma anche trattando temi attinenti alla gestione pubblica della città nei suoi articoli sul “Corriere della Sera” e su altre testate come la rivista “La città” ideata nel 1997 da Carlo Orsi con Tadini, Vergani, Giorgio Teruzzi e Gianfranco Pardi. (Scarica pdf comunicato stampa)

Questa mostra costituisce una continuazione ideale di quella terminata il 5 marzo 2022 presso la galleria Giò Marconi di Milano, Viaggio in Italia, testimoniando, ancora una volta, l’importanza attribuita da Tadini alla relazione tra l’uomo e il paesaggio

Scriveva l’artista nel catalogo Le città Italiane, mostra Salone Filiale Renault 1989:

Potremmo sostenere che il Diritto sta all’Etico come l’Architettura sta allo Spazio. E potremmo anche sostenere che è nel Diritto che l’Etico si mostra, si fa vedere, così come lo Spazio si mostra, si fa vedere nell’architettura. E se è vero che (…), è più facile parlare del Diritto che non dell’Etico è anche vero che è molto più facile parlare dell’Architettura che non dello Spazio. (…) Potremmo addirittura arrivare a dire, ma sottovoce, che c’è qualcosa in comune, tra l’Etico e lo Spazio”.

La capacità di analisi e di porre questioni di valore esistenziale e gnoseologico è una caratteristica dell’artista. Proprio per questo, molto del suo lavoro possiede la grande capacità di farsi interprete di importanti temi contemporanei. La storia recente ci impone più che mai una riflessione tra l’Etico e lo Spazio. È per ragioni di “spazio” e di “diritto” che si scatenano le guerre – come quella in corso – e, per la stessa ragione si distruggono o si costruiscono le case, le città, che per Tadini sono “un sistema ordinato di distanze”.

Emilio Tadini, nato nel 1927, aveva visto distruggere le case durante l’ultimo conflitto mondiale e questo sguardo su città illuminate dalla luna, abitate da giganti e clown, e attraversate dai profughi ricordano a tutti noi, metaforicamente, il viaggio esistenziale di ciascuno, dove tragico e comico non sono in contrapposizione, ma consequenziali, e dove, si manifesta, in qualche misura, il ripetersi della storia.

Il tragico è (ricordiamoci l’opera di Nietzsche) è estatico, il comico infinitamente temporale. Non si finirebbe mai di ridere.(…) Tadini utilizza prima il comico per esprimere il tragico (…) usa certe veline manieristiche per moltiplicare la meccanicità delle cose, per farle diventare un’anti-natura, per rendere possibile la ripetizione. (…) Ciò che è visto è la città detemporalizzata (…) la città-mito”.
(Mario Santagostini, Città Italiane, catalogo mostra Galleria D’Arte Contemporanea di Arezzo 1989).

Nel 1989 cadeva il Muro di Berlino e Tadini, sempre attento osservatore del sociale, intorno a quell’anno si stava dedicando a due cicli pittorici dai temi emblematici: il Profugo e le Città. Come scrisse nel catalogo della mostra Trittici del 1989 (che dà inizio alla sua produzione di trittici negli ultimi anni del suo lavoro pittorico), erano caduti dei miti, dei valori, il mondo stava prendendo una nuova direzione: il crollo dei grandi sistemi alle nostre spalle ha questo di buono: che i suoi incendi possono illuminare la strada mentre stiamo andando via da qualche altra parte”. 

Oggi ci stiamo muovendo da qualche altra parte e la mostra di Emilio Tadini sulla città è anche l’occasione per parlarne con una serie di incontri che vedrà partecipare figure dell’arte, della politica, del giornalismo, della cultura.

Le città, l’Etico e lo Spazio

dal 1 giugno 2022 al 15 aprile 2023

inaugurazione 1 giugno ore 18.30

apertura da mercoledì a sabato dalle 15.30 alle 19.30.

Per visite guidate prenotazioni via mail museospaziotadini@gmail.com costo 10 euro.

Contatti stampa

Melina Scalise cell.3664584532

Viaggio in Italia: Tadini alla Galleria Giò Marconi

Inaugura il 3 febbraio alle ore 18 presso la Galleria Giò Marconi, in via Tadino 20 a Milano una mostra di Emilio Tadini su opere anni 70 sul tema Viaggio in Italia. Si tratta di una delle prime esposizioni ed iniziative che caratterizzeranno questo 2022 in cui ricorre il ventennale dalla morte dell’artista avvenuta il 24 settembre del 2002.

Giò Marconi, figlio del gallerista storico di Emilio Tadini, Giorgio Marconi, rinnova l’appuntamento con questo artista storico della galleria dopo una mostra già dedicata al ciclo anni 70 svoltasi lo scorso anno in fondazione “Davanti agli occhi, dietro lo sguardo” , durante la quale è nato anche il progetto per un libro a cura di Francesco Guzzetti dopo una visita all’archivio, presso la Casa Museo Spazio Tadini, in via Jommelli 24 a Milano, dove dono conservati alcuni scatti fotografici dell’artista. Nelle immagini sono raffigurati alcuni oggetti iconici della sua pittura come le poltrone, i pennelli, le composizioni di alcune nature morte e via così suggerendo una riflessione sul metodo, sull’analisi del paesaggio, sulla ricerca della composizione e della relazione con l’oggetto quotidiano nella poetica di Emilio Tadini.

L’inaugurazione della mostra che apre il 3 febbraio sarà anche l’occasione per presentare il libro di Guzzetti con Fondazione Marconi.

Nella mostra Viaggio in Italia, questi oggetti iconici della pittura dell’artista sono ben visibili. Raccontano l’attenzione di Tadini verso la relazione tra l’uomo e l’oggetto e la loro simbologia.

Dal quaderno 4 del Centro studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma 1984 : “Emilio Tadini” (Archivio Emilio Tadini).

A Pagina 41 scrive Emilio Tadini:

Ci sopravvivono, le cose. La materia di cui è fatto il nostro corpo è più vulnerabile, più fragile, più effimera. Così le cose, nel dipinto, sembra che restino indietro, ferme. A volte è come se allungassimo le mani senza poterle toccare. Non è anche ogni natura morta archeologia? Oggetto di una scienza del passato, delle cose dipinte. Simbolo silenzioso di un’esistenza respinta ormai verso il bordo dell’incomprensibile? Le cose quotidiane, dipinte in una natura morta, non sembrano alzare la loro minuscola mole ai limiti del tragico? E allora può darsi che il sacro e il terribile riescano a stare insieme – attraendosi, respingendosi – in una tazza, in un vasetto, in una mela. Che carica di Energia smisurata!…Il valore. Il tragico. Da un fuoco all’altro oscillano le figure. Anche le figure semplicissime delle cose quotidiane. Lentamente a quei fuochi si consumano”.

Natura morta di Emilio Tadini

Come si evince da queste riflessioni dell’artista le cose, i frammenti archeologici che costituiscono il paesaggio dei dipinti Viaggio in Italia sono, in qualche misura un’espressione del tempo, del limite, della caducità del vivere, della ricerca di fermare il tempo, di portare al presente il passato attraverso elementi archeologici di conservazione ed esaltazione del valore storico e bello delle cose andate.

L’oggetto diventa esso stesso spazio e tempo. Nelle tele di Tadini si confondono spazi e tempi, tutto si mescola, come in un sogno, nella dimensione più o meno conscia dell’essere e dell’esistere.

Nel quaderno degli appunti anni 70 Tadini annota alcune riflessioni su alcuni concetti che voleva esprimere nei suoi dipinti (dall’Archivio Emilio Tadini):

Tema del ritorno ma nel presente, la costituzione di una dimensione oggettiva “naturale – interiore” una specie di scenografia per una cosmogonia per un sistema naturale. Paesaggi come luoghi di una riconquista, di una possibilità di totalità. (Anabasi e il De Rerum Natura). Problema non di “artificializzare” la Natura, ma di inglobare in una “naturalità” i nostri oggetti, di dar loro una “significatività naturale”. Elementi naturali (ghiaccio n.d.r.) con oggetti (rubinetti, per esempio)”.

In pratica per Emilio Tadini in Viaggio in Italia non c’è il senso della scoperta del paesaggio Naturale e della storia, ma soprattutto il ritrovamento, in quel paesaggio, dell’uomo stesso. Così fu, per esempio il viaggio di Goethe citato nel dipinto di Tadini Viaggio in Italia riportato all’inizio dell’articolo (per quel dipinto Tadini si è ispirato a un disegno di Tischbein che ritrae Goethe a Roma affacciato alla finestra). Lo scrittore in Italia non scoprì la storia e i luoghi della cultura, ma, come lui stesso affermò, soprattutto se stesso.

Tadini in pratica ci suggerisce che in realtà nessuno potrebbe cercare se stesso senza un’interazione con il mondo e gli oggetti sono parte significativa del nostro paesaggio.

La responsabile dell’archivio Emilio Tadini, Melina Scalise, organizza visite guidate alla mostra presso la galleria Giò Marconi su prenotazione (archivioemiliotadini@gmail.com)

Melina Scalise, responsabile archivio Emilio Tadini

ogni riproduzione senza citare la fonte e l’autore è vietata

EMILIO TADINI 1967-1972 Davanti agli occhi, dietro lo sguardo

Dal 27 marzo al 28 giugno Fondazione Marconi dedica a Emilio Tadini una grande mostra sui cicli anni 1967-1972.

Davanti agli occhi, dietro lo sguardo, è la terza mostra dedicata all’artista e intellettuale milanese Emilio Tadini. Dopo Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della pittura del 2007 e Emilio Tadini 1985-1997. I profughi, i filosofi, la città, la notte del 2012, questo nuovo progetto espositivo pone l’attenzione sugli esordi della produzione artistica di Tadini, dal 1967 al 1972, ovvero dal primo ciclo Vita di Voltaire, che segna la nascita del suo linguaggio pittorico, fino ad Archeologia.Considerato uno tra i personaggi più originali del dibattito culturale del secondo dopoguerra italiano, fin dagli anni Sessanta Emilio Tadini sviluppa la propria pittura per grandi cicli, popolati da un clima surreale in cui confluiscono elementi letterari, onirici, personaggi e oggetti quotidiani, spesso frammentari, dove le leggi di spazio e tempo e quelle della gravità sono totalmente annullate.Le opere di Tadini nascono da un clima emotivo, da un flusso mentale “in qualche zona semibuia della coscienza” dove le immagini emergono in un procedimento freudiano di relazioni e associazioni e dove le situazioni “reali” che il pittore raffigura sono immerse nell’atmosfera allucinata del sogno, in un clima surrealista-metafisico. Questo processo automatico si sviluppa, più che sulla prima immagine del quadro, sulla serie: da un’immagine ne scaturiscono altre, modificandola e alterandola.Ogni volta l’artista produce un racconto, tanto che la sua pittura cresce a cicli, come una serie di romanzi a puntate.
La lettura delle sue opere richiede strumenti di natura concettuale, le immagini apparentemente semplici e immediate, nascondono molteplici significati (“tutto accade davanti ai nostri occhi… il pensiero si ripara… dietro lo sguardo”), non mancano i riferimenti al Surrealismo e alla Metafisica di de Chirico, come anche alla psicanalisi di Lacan e Freud.
Tadini domina con singolare capacità due tipi di linguaggi, il visivo e il letterario, lavorare per cicli lega anche la sua pittura alla cultura letteraria e in particolare alla pratica della scrittura, di cui è maestro. Il suo lavoro è dunque luogo di convergenza di linguaggi differenti. Tra il 1967 e il 1972 l’attività pittorica dell’artista è particolarmente prolifica e va delinandosi la sua modalità operativa e stilistica.
Punto di partenza è la pop art: le prime due grandi serie di opere per cui Tadini concepisce un linguaggio pop sono la Vita di Voltaire, del 1967, e L’uomo dell’organizzazione, dell’anno successivo. Seguono, nell’ordine, Color & Co. (1969), Circuito chiuso (1970), Viaggio in Italia (1971), Paesaggio di Malevi? e Archeologia (1972).Non sono tuttavia le aggressive manifestazioni tipiche del pop americano a interessarlo, bensì le varianti più introspettive e personali, a volte intellettuali, politiche e critiche, del pop britannico. Un occhio particolare è rivolto all’arte di Kitaj, Blake, Hockney e Allen Jones ma anche a Francis Bacon e Patrick Caufield, alla Figuration narrative di Adami, Arroyo e Télémaque. Sarà questa una fase di passaggio che l’artista abbandonerà negli anni Ottanta, destinata comunque a lasciare un segno indelebile nei suoi lavori successivi.Accanto ai quadri, la mostra presenta una selezione di disegni e opere grafiche a testimonianza del fatto che Tadini ha sempre affiancato nei suoi “racconti per immagini” tela e carta, pittura e disegno.


Obiettivo finale del progetto espositivo Emilio Tadini 1967-1972 è riportare “alla luce” il lavoro grafico e pittorico del maestro milanese per ricostruire la figura di un artista totale (pittore, disegnatore, intellettuale, scrittore e poeta) colto e profondo, anche alla luce del particolare rapporto con Giorgio Marconi, gallerista, collezionista e soprattutto amico di Tadini.
“L’incontro con Marconi è stato importante, mi ha dato una grande fiducia di potere fare questo lavoro di pittore professionalmente”, racconta lo stesso Tadini. “E subito dopo, lavorando, viene fuori la prima grande serie che è quella della ‘Vita di Voltaire’, dove si vede l’influenza della Metafisica, si alleggerisce la materia pittorica, uso fondi chiari monocromi e comincia un po’ la storia della mia pittura. A questo punto c’è ormai questa come attività professionale, tanto che io sospendo il lavoro letterario: prendo appunti, per me, come se volessi autorizzare davanti a me stesso una scelta.” (A.C. Quintavalle, Emilio Tadini, Fabbri Editori, 1994) .

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Arte moderna e contemporanea
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Profughi di Emilio Tadini

Dal 27 febbraio al 20 aprile la mostra di Emilio Tadini Profughi presso la Casa Museo Spazio Tadini ex atelier dell’artista in via Niccolò Jommelli, 24 Milano (www.spaziotadini.com).

Erano gli anni ‘80/’90 quando Emilio Tadini realizzò una serie di opere pittoriche dedicate ai profughi. Tadini raccontava l’Uomo e, in quella serie, evidenziava quanto l’essere profugo sia insito nella condizione dell’Uomo. Per Tadini la gestione del cambiamento e della perdita è un processo che tutti nella vita devono elaborare a cominciare dalla nascita con il distacco dal corpo materno, con l’esperienza della Distanza (Emilio Tadini, Rizzoli 1998).

L’esperienza dell’Uomo è senza tempo e senza patria: un’eterna ricerca della condizione migliore e fanno parte di questa ricerca il viaggio, il sogno, l’amore. Dalla fine degli anni Ottanta fino ai primi del 90 Tadini elabora un profonda riflessione sull’essere profughi che lo portano a realizzare a seguire il ciclo Oltremare (ispirate ad Ulisse) e le Fiabe, partendo da La fiaba de niente. Inoltre scrisse nel 1993 il celebre romanzo La tempesta il cui protagonista è Prospero, un uomo colpito dalle vicissitudini della vita che si trincea nella sua casa per opporsi allo sfratto.

Nel periodo in cui realizzo il ciclo Profughi, Emilio Tadini fu molto colpito dai grandi cambiamenti politici e sociali. Nel 1989, anno della caduta del muro di Berlino, realizzò un ciclo di trittici ispirati a Max Beckmann. Per Tadini la storia si ripeteva. Rivedeva in quei cambiamenti sociali che poi portarono anche alla guerra in Jugoslavia, i tempi della guerra quando era bambino e frequentava il ginnasio e trascorreva più tempo nel rifugio che in aula. In particolare gli rimase impresso nella memoria il rischio che corse suo padre quando, da fervente cattolico qual era, si inginocchiò a pregare davanti a dei morti in Piazzale Loreto, tra cui c’era una insegnante. Lui, orfano di madre da quando aveva 6 anni, in quel momento colse quanto l’ideale di un uomo possa prevalicare sul tutto e stravolgere la vita degli altri.

In quella Milano di lutti e di bombardamenti metteva radici in Tadini la voglia di ricostruzione e la fame di giustizia e di benessere che poi appartenne a tutta la generazione del dopoguerra.

Nella serie Profughi i personaggi di Tadini sono persone che come pacchi si muovono in spazi in assenza di gravità con dei cartellini attaccati addosso. Uomini ed oggetti, insieme, sono in uno spazio aereo e privo di gravità. Non c’è territorio di appartenenza c’è solo il viaggio. Un percorso da fare insieme alle cose, quelle che per Tadini rimangono oltre l’uomo a significare ciò che c’era. Presenze e assenze. Nature morte che parlano di noi e raccontano storie di vita terrena. A volte sono fardelli da cui non riusciamo a separarci e ci sono pesci sugli alberi a ricordarci lo stravolgimento dei luoghi e l’atto estremo di sopravvivenza e di non rinuncia alla vita.

La collettiva Profughi:

l’Umanità in viaggio nell’era globale

Gli artisti esposti sono 69 su più di 100 partecipanti. Saranno in mostra pitture, sculture, fotografie e video inediti. I visitatori avranno stimoli di riflessione e approfondimenti sul tema anche con incontri e visite guidate rivolte anche alle scuole.

(clicca e vedi gli artisti in mostra)

Emilio Tadini 1967-1972

Emilio Tadini domina la scena artistica milanese della primavera 2019 con due grandi mostre a Milano: la prima, inaugurata presso la Casa Museo a lui dedicata, Spazio Tadini, con “Profughi” (fino al 20 aprile 2019) e la seconda dal 28 di marzo al 28 giugno, presso Fondazione Marconi che presenta “Emilio Tadini 1967-1972”, la terza mostra dedicata all’artista e intellettuale milanese Emilio Tadini. Dopo Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della pittura del 2007 e Emilio Tadini 1985-1997. I profughi, i filosofi, la città, la notte del 2012, questo nuovo progetto espositivo pone l’attenzione sugli esordi della produzione artistica di Tadini, dal 1967 al 1972, ovvero dal primo ciclo Vita di Voltaire, che segna la nascita del suo linguaggio pittorico, fino ad Archeologia.
Considerato uno tra i personaggi più originali del dibattito culturale del secondo dopoguerra italiano, fin dagli anni Sessanta Emilio Tadini sviluppa la propria pittura per grandi cicli, popolati da un clima surreale in cui confluiscono elementi letterari, onirici, personaggi e oggetti quotidiani, spesso frammentari, dove le leggi
di spazio e tempo e quelle della gravità sono totalmente annullate.

Le opere di Tadini nascono da un clima emotivo, da un flusso mentale “in qualche zona semibuia della coscienza” dove le immagini emergono in un procedimento freudiano di relazioni e associazioni e dove le situazioni “reali” che il pittore raffigura sono immerse nell’atmosfera allucinata del sogno, in un clima
surrealista-metafisico. Questo processo automatico si sviluppa, più che sulla prima immagine del quadro, sulla serie: da un’immagine ne scaturiscono altre, modificandola e alterandola.
Ogni volta l’artista produce un racconto, tanto che la sua pittura cresce a cicli, come una serie di romanzi a puntate.
La lettura delle sue opere richiede strumenti di natura concettuale, le immagini apparentemente semplici e immediate, nascondono molteplici significati (“tutto accade davanti ai nostri occhi… il pensiero si ripara… dietro lo sguardo”), non mancano i riferimenti al Surrealismo e alla Metafisica di de Chirico, come anche alla psicanalisi di Lacan e Freud.
Tadini domina con singolare capacità due tipi di linguaggi, il visivo e il letterario, lavorare per cicli lega anche la sua pittura alla cultura letteraria e in particolare alla pratica della scrittura, di cui è maestro. Il suo lavoro è dunque luogo di convergenza di linguaggi differenti.
Tra il 1967 e il 1972 l’attività pittorica dell’artista è particolarmente prolifica e va delinandosi la sua modalità operativa e stilistica.
Punto di partenza è la pop art: le prime due grandi serie di opere per cui Tadini concepisce un linguaggio pop sono la Vita di Voltaire, del 1967, e L’uomo dell’organizzazione, dell’anno successivo. Seguono, nell’ordine, Color & Co. (1969), Circuito chiuso (1970), Viaggio in Italia (1971), Paesaggio di Malevič e Archeologia (1972).
Non sono tuttavia le aggressive manifestazioni tipiche del pop americano a interessarlo, bensì le varianti più introspettive e personali, a volte intellettuali, politiche e critiche, del pop britannico. Un occhio particolare è rivolto all’arte di Kitaj, Blake, Hockney e Allen Jones ma anche a Francis Bacon e Patrick Caufield,
alla Figuration narrative di Adami, Arroyo e Télémaque. Sarà questa una fase di passaggio che l’artista abbandonerà negli anni Ottanta, destinata comunque a lasciare un segno indelebile nei suoi lavori successivi. Accanto ai quadri, la mostra presenta una selezione di disegni e opere grafiche a testimonianza del fatto che Tadini ha sempre affiancato nei suoi “racconti per immagini” tela e carta, pittura e disegno.
Obiettivo finale del progetto espositivo Emilio Tadini 1967-1972 è riportare “alla luce” il lavoro grafico e pittorico del maestro milanese per ricostruire la figura di un artista totale (pittore, disegnatore, intellettuale, scrittore e poeta) colto e profondo, anche alla luce del particolare rapporto con Giorgio Marconi, gallerista, collezionista e soprattutto amico di Tadini.

“L’incontro con Marconi è stato importante, mi ha dato una grande fiducia di potere fare questo lavoro di pittore professionalmente”, racconta lo stesso Tadini. “E subito dopo, lavorando, viene fuori la prima grande serie che è quella della ‘Vita di Voltaire’, dove si vede l’influenza della Metafisica, si alleggerisce la materia pittorica, uso fondi chiari monocromi e comincia un po’ la storia della mia pittura. A questo punto c’è ormai questa come attività professionale, tanto che io sospendo il lavoro letterario: prendo appunti, per me, come se volessi autorizzare davanti a me stesso una scelta.” (A.C. Quintavalle, Emilio Tadini, Fabbri Editori, 1994)

Emilio Tadini nello studio di via Niccolò Jommelli, 24 dove oggi ha sede la Casa Museo a lui dedicata Spazio Tadini


Note biografiche Nato a Milano nel 1927, Emilio Tadini si laurea in lettere e si distingue subito tra le voci più vive e originali nel dibattito culturale del secondo dopoguerra. Nel 1947 esordisce su “Il Politecnico” di Elio Vittorini con un poemetto, cui fa seguito un’intensa attività critica e teorica sull’arte (Possibilità di relazione, 1960; Alternative attuali, 1962; l’ampio
saggio Organicità del reale, su “Il Verri”). Nel 1963 esce il suo primo romanzo, Le armi l’amore (Rizzoli), cui seguono nel 1980 L’opera (Einaudi), nel 1987 La lunga notte (Rizzoli), nel 1991 il libro di poesie L’insieme delle cose (Garzanti) e nel 1993 l’ultimo romanzo, La tempesta (Einaudi).
Al lavoro critico e letterario Tadini affianca, sin dalla fine degli anni Cinquanta, la pratica della pittura. La sua prima esposizione personale è del 1961 alla Galleria del Cavallino di Venezia.
Fin dagli esordi sviluppa il proprio lavoro per grandi cicli, costruendo il quadro secondo una tecnica di sovrapposizione di piani temporali in cui ricordo e realtà, tragico e comico giocano di continuo uno contro l’altro.
Dal 1965 espone regolarmente allo Studio Marconi e nel corso degli anni Settanta tiene esposizioni personali all’estero, a Parigi, Stoccolma, Bruxelles, Londra, Anversa, negli Stati Uniti e in America Latina, sia in gallerie private che in spazi pubblici e musei. È presente in numerose collettive. Dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1978 e nel 1982, allestisce una grande personale alla Rotonda di via Besana nel 1986, dove espone una serie di tele che preannunciano i successivi cicli dei Profughi e delle Città italiane, quest’ultimo presentato poi nel 1988 alla Tour
Fromage di Aosta. Nel 1990 espone allo Studio Marconi sette grandi trittici. Del 1992 è la mostra Oltremare alla Galerie du Centre di Parigi. Nel 1993 la mostra Oltremare, con nuovi quadri, è riproposta da Marconi a Milano. Nel 1995 espone alla Villa delle Rose di Bologna otto trittici del ciclo Il ballo dei filosofi. A partire dall’autunno del 1995 fino all’estate del 1996 ha luogo in
Germania una grande mostra antologica nei musei di Stralsund, Bochum e Darmstadt, accompagnata da una monografia a cura di Arturo Carlo Quintavalle. Nel 1996 Il ballo dei filosofi è riproposto alla Galleria Giò Marconi. Nel 1997 tiene mostre personali presso la Galerie Karin Fesel di Düsseldorf, la Galerie Georges Fall di Parigi e il Museo di Castelvecchio a Verona. Gli ultimi cicli esposti sono quelli delle Fiabe e delle Nature morte. Nel 1999 presenta il ciclo delle Fiabe alla Die Galerie di Francoforte.
Per alcuni anni è commentatore del “Corriere della Sera” e dal 1997 al 2000 è presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2001 gli è dedicata un’ampia retrospettiva nel Palazzo Reale di Milano.
Muore nel settembre 2002. Nella primavera del 2005 il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona gli dedica una grande mostra antologica. Nel 2007 viene inaugurata a Milano la mostra Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della
pittura, negli spazi espositivi delle Fondazioni Marconi e Mudima e dell’Accademia di Brera. Opere di Emilio Tadini sono state recentemente oggetto di personali e collettive alla Fondazione Marconi (2009, 2011, 2012, 2015 e 2016); alla Fondazione Roma (Gli irripetibili anni ’60, curata da
L.M. Barbero, 2011); alla Permanente (2012) e alla Galleria Cortina di Milano (2013); alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo e a Villa Olmo di Como (2016). Alla Casa Museo Spazio Tadini, tra le ultime iniziative dedicate all’artista, si segnalano Il ’900 di Emilio Tadini, all’interno della rassegna “Novecento Italiano”, organizzata dal Comune di Milano (2018) e la mostra Profughi, attualmente in corso fino al 20 aprile 2019, che presenta l’omonimo ciclo degli anni Ottanta-Novanta, quanto mai attuale ed emblematico.

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ATTRAvetro Castello Visconteo Pavia – mostra a cura di Rosa Chiesa e Sandro Pezzoli

ATTRAvetro Castello Visconteo Pavia – mostra a cura di Rosa Chiesa e Sandro Pezzoli.

Le opere in vetro di Emilio Tadini in mostra al Castello Visconteo di Pavia

viaATTRAvetro Castello Visconteo Pavia – mostra a cura di Rosa Chiesa e Sandro Pezzoli.