Romanzo d’esordio del 1963 ripercorre le vicende di Carlo Pisacane, eroe rinascimentale.

Chi non ricorda La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercanti… “Eran trecento, erano giovani e forti e sono morti….” era il 1857 quanto Carlo Pisacane organizza la sua fallimentare spedizione contro i borboni. Un eroe solitario che affascina Tadini. Il suo interesse però non è il racconto della guerra della armi, ma della parola.

Scrive Ennio Golino su La Repubblica (clicca per leggerla tutta): “Carlo Pisacane, patriota e scrittore napoletano, sfortunato protagonista della spedizione di Sapri, suicida quando capisce che l’ impresa è fallita. Tadini racconta intersecando tre tempi verbali con scorci e raccordi non sempre risolti: il futuro (la vicenda storica, giocata tra verità e fantasia); il passato (per esempio gli anni giovanili di Pisacane); il condizionale (i fatti che sarebbero potuti accadere). Domina in questa sofisticata chanson de geste la suggestiva capacità dell’ io narrante di trasformarsi in voce della Storia, scandita da una tensione caparbia e febbrile oscillante fra ragione e sogno, ideale e immaginazione, realtà e utopia, all’ insegna di quella che Heidegger chiamava «la forza silenziosa del possibile»” .

Scrive Giuliano Gramigna nella prefazione:

“Le armi l’amore non è il romanzo di Pisacane e della sua spedizione più di quanto, mettiamo, Gli affari del Signor Giulio Cesare di Brecht siano un romanzo di Giulio Cesare o di una qual tale romanità (…) Alla fine dei conti questa vicenda di armi e di amore – ma poi così poco d’armi e d’amore! – mette in moto qualcosa d’altro, di più importante per Tadini ma anche per il lettore, che può essere invischiato senza ben saperlo. Si tratta di ritrovarsi davanti al potere della parola d’istituire il mondo. La dice più lunga di tante considerazioni, sulla natura di questo roamnzo e sulla sua suggestione che dura, il fatto che prprio dalla bocca di lui, supposto uomo d’azione, esca una specie di poetica romanzesca: “Non ti ricordi quando mi hai detto che erano sempre meglio molte parole di poche?… Dicevi che una parola sola è come una specie di arma… proprio così: una specie di arma che uccide la cosa, e invece con molte parole si può almeno sperare d’irretirla, la cosa.. di catturarla viva, o se non altro di tenerla ferma per un pò, il tempo di….”

STRALCI

Prologo de Le armi l’amore

Francesco Tadini

(pagine 7-9) Come se tutto fosse già incominciato e la nave oscillasse nel sole sotto le coste dell’isola e i giorni che verranno fossero già tutti passati senza errori e senza confusione – e in realtà ogni cosa, indolente e concreta, sarà già pronta : la nave, il mare, il cielo, e nell’aria il caldo di una eterna estate indistruttibile, e il parapetto della nave che lui sentirà sotto la mano mentre guarderà senza fretta le colline sopra le ultime case di Genova e il porto, e poi il molo, e la folla disattenta, e poi la donna in piedi nell’ombra contro il muro scrostato della dogana, le mani calme, le lunghe dita abbandonate e ferme, finché lui distoglierà lo sguardo fissando ancora qualcosa più lontano come per prepararsi meglio a guardarla, per ritardare un altro sguardo desideroso al suo corpo, alla sua faccia di cui non potrà più distinguere l’espressione, e non potrà più distinguere il sorriso gli occhi socchiusi le labbra strette con forza, vedendo soltanto il suo corpo sotto l’ampio vestito immobile e i suoi capelli mezzo nascosti dall’ala ricurva del cappello di paglia, e vedendo soltanto il gesto delle  braccia abbandonate lungo i fianchi, e distinguendo soltanto, nell’ombra proiettata dal muro, la sua spalla leggermente alzata, o forse guardando già nella memoria quell’aspetto consueto: e distoglierà ancora lo sguardo fissando le case digradanti sulla collina fino al cielo senza nuvole e poi, ancora prima di guardarla, ritroverà la sua intera immagine dallo stanco sorriso vedendo il corpo immobile nell’ombra, le mani ferme, la forma della sua faccia rivolta verso di lui, e certo gli occhi della donna lo guarderanno senza sorridere, socchiusi contro il riflesso del sole – come se tutto fosse già incominciato e la nave fosse già partita e avesse già navigato verso sud costeggiando mezza Italia e ora oscillasse tranquilla nel sole davanti all’isola azzurra – e in realtà ogni cosa sarà già pronta, solida e indolente, come un docile strumento: il parapetto che lui stringerà con la mano, le assi del ponte rumorose come un palcoscenico sotto i suoi piedi, l’odore del mare lento e violento mescolato all’odore ambiguo del porto, e il cielo intero, il calore del sole, la luce moltiplicata nel futuro fino a un’avida estate adolescenziale in una identica mattina sul mare davanti all’isola (“Portate un lume! e le pallide fiamme delle candele si muovevano adagio attraverso la sala mentre i quattro strumenti riprendevano a suonare, e nella penombra, voltandosi, aveva visto la sua faccia vicinissima, e lei aveva detto sottovoce: (PROSEGUI)