Emilio Tadini è stato un “pensatore” del ‘900 italiano, critico d’arte e di letteratura, nonchè traduttore e studioso di importanti autori del 900 Pound, Eliot, Auden, Stendhal, Melville, Shakespeare, Joyce, Mallarmé, Celine, Faulkner. Le figure, le parole e le cose sono elementi distintivi del suo percorso espressivo, del suo realismo integrale.

I suoi libri

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Molti altri testi sono pubblicati sulle riviste su cui ha scritto, sul Corriere della Sera, su telePiù, su Rai, alla Radio Televisione Svizzera etc.

Rai Cultura, La pittura del 900 commentata da Emilio Tadini 

Giacomo Raccis, ricercato e studioso di Tadini in questi passaggi offre un’idea della stretta relazione e commistione dei due linguaggi pittura e scrittura nel pensiero di Emilio Tadini:

“Tra i Cinquanta e i Sessanta siano, in Italia, anni di rimescolamento delle estetiche in campo artistico e letterario: il neorealismo sta lasciando il campo a una proposta di nuova avanguardia radicale e formalista; nelle arti visive, la nuova egemonia americana della pop-art si avvicenda all’espressionismo astratto dell’informale, aprendo tuttavia ampi spazi di manovra nell’ambito di una pittura che intenda rinnovare i presupposti estetici della figurazione. E proprio a questo rinnovamento guarda Tadini quando sceglie gli autori, le mostre o i testi di cui occuparsi. Prima vengono quei maestri che, nelle generazioni precedenti, hanno saputo rappresentare il nuovo, trasformando radicalmente le abitudini di visione e comprensione del reale: nascono così gli articoli dedicati a Pablo Picasso, a George Grosz e più in generale alle avanguardie primonovecentesche (Organicità del reale). Poi, da vero critico militante, Tadini si cimenta con il contemporaneo, provando a tracciare dei sentieri che, a partire da precisi presupposti filosofici, indirizzino l’arte – e il discorso su di essa – verso il futuro, e assumendosi tutti i rischi di fallimento che questo esercizio comporta. Se deve essere critico, Tadini non vuole essere un semplice conservatore della tradizione, né vuole limitarsi, quanto alla stretta contemporaneità, ad assecondare le vulgate critiche. Il suo intento è piuttosto quello di distinguere ciò che è nuovo da ciò che invece appare vacuo esercizio di stile o pretenzioso tentativo di avanguardia. (…..)

L’opera d’arte è naturalmente condizionata dalle determinazioni storiche, ma è l’organizzarsi delle sue forme che costituisce il modo effettivo con cui essa entra in relazione con la realtà e con la storia. Le forme devono essere modellate allo scopo di estendere la visione tanto sul piano orizzontale dello spazio, quanto su quello verticale del tempo. E anzi, proprio l’interrelazione tra i due assi della rappresentazione costituisce il cardine della rivoluzione «integralista», che avvince in un unico campo l’espressione letteraria e quella pittorica. (….)

Ciò che permette di aprire la dimensione dello spazio alla profondità del tempo e di estendere enormemente i confini concettuali della rappresentazione è una configurazione «sferica» dell’esperienza da rappresentare, che contraddice quello che Barthes chiamava il «tempo orientato e significativo» ovvero la durata, e che dà centralità al «fatto» inteso come struttura capace di organizzare e orientare il continuo flusso di valori e rapporti. Si tratta cioè di un’intenzione narrativa complessa che, ad esempio nella scrittura letteraria, si traduce in una forte messa in questione della funzione del narratore. Lo stendhaliano specchio che riflette ciò che accade sulla strada del romanzo «non è in grado di cogliere nella sua interezza la vorticante concretezza di un nodo di fatti» (Specchio che pensa); serve una nuova istanza che, nella consapevolezza dell’impossibilità di riprodurre tutto, individui un dispositivo narrativo su cui incardinare i diversi assi spazio-temporali che compongono il racconto: per Joyce fu lo stream of consciousness, per i coetanei La Capria (Ferito a morte, 1961) e del Buono (Né vivere, né morire, 1963) è una prima persona pseudoautobiografica, per Tadini sarà la «voce della Storia» che parla in Le armi l’amore.

Questa intenzione narrativa esercita una funzione altrettanto esplosiva quando viene applicata alla rappresentazione pittorica, che ricorre al racconto quale impalcatura ermeneutica per conciliare una comprensione razionale e una sorta di concettualizzazione intuitiva, spontanea, stimolata dalle forme dipinte. Le linee solide della scultura di Alik Cavaliere, prese in un «drammatico» processo di metamorfosi; il tratto nero del disegno che nelle tele di Adami taglia e ricuce le figure secondo principi di associazione mutuati dalla psicoanalisi; le figure antropomorfe di Bepi Romagnoni, mosse da un alto tasso di emotività, capaci di suggerire senza mai davvero dire: qualunque sia la tecnica compositiva adottata dal singolo interprete, il realismo integrale si traduce in un tentativo di coordinare secondo diverse strategie di «integrazione» una molteplicità di elementi, visibili e invisibili, consci e inconsci, che estendono la concretezza della realtà nello spazio e nel tempo. […]

Ed è forse quest’ultima la caratteristica più interessante dello stile di Tadini, che all’interno di testi disparati ricorre alla parentesi – posta rigorosamente tra due punti fermi – per ritagliarsi uno spazio in cui divagare, appunto, oppure inaugurare un percorso che corre poi parallelo al testo principale. Le parentesi aprono ampi incisi e danno al complesso testuale una configurazione frastagliata, sensibile a improvvise illuminazioni. Qui si rivela qualcosa della personalità di Tadini, tanto convinto della direzione impressa alla sua ricerca, quanto disponibile a percorrerne altre, a puntellare di forse la propria riflessione. Non si tratta di un segno di incertezza, quanto di una disponibilità all’inversione di rotta e anche di una certa refrattarietà alle verità definitive. L’insofferenza alla metafisica manifestata nei giudizi sull’arte pop o sull’informale si riflette in questo stile a un tempo meditativo e dubitativo, che cerca dei varchi nelle tele, nei testi e nell’elaborazione concettuale, e non appena li trova prova a riempirli con nuove interrogazioni, destinate a loro volta ad aprire nuovi spazi”.

(leggi testo integrale di Raccis)